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martedì 19 aprile 2011

Tra astinenza e pentimenti, il contatto tra la Juve e Mancini c'è stato



I tempi sono sospetti più del dovuto, considerato che la matematica impone ben altri dilemmi: la Champions League (vezzo per gli studiosi di statistica), i suoi 40 milioni e più di introiti e una questione stadio che non alimenta, certo, il bilancio di corso Galileo Ferraris. Ma la dissoluzione del ruolo di Delneri (sotto osservazione) nel trittrico di inizio stagione cos'è se non un deja vù da teatro dell'assurdo che ci ripropone Roberto Mancini? La sua denigrazione gratuita non appaga nulla, se non un revanscismo di quelli elementari da cui astenersi. Da allenatore dell'Inter (ex è quasi aspetto secondario) non è gradito a parte della tifoseria che non si addolcì neanche per le dichiarazioni ripetute in una strategia tenera per quanto esplicita, all'epoca della vigilia del suo trasferimento a Manchester, sponda City. Il Mancio, sarebbe l'uomo in più, in grado di scuotere l'ambiente.

Posto che in Walter Mazzarri - altro erede individuato dal club - sono più i tratti del mourinhismo che dello stile Juve, il suo possibile ingresso come guida tecnica della società sarebbe cosa altretanto buona e giusta. Peccato che ci sia - nell'ordine - l'ostilità del presidentissimo Aurelio De Laurentiis (come biasimarlo, d'altronde?), la struttura di una società collaudata come il Napoli e una certa resistenza della nuova dirigenza a oltrepassare la dimensione del contatto in questa fase così delicata.

Le odierne esternazioni di Big Luciano, Moggi, non sono che il reiterarsi di un concetto ormai pluriennale tanto quanto gli incentivi della casa madre. "Mancini è un allenatore molto valido, lo porterei alla Juventus", il concetto espresso a Radio Kiss Kiss Napoli dall'ex direttore generale. "Con lui non ho una grande amicizia, ma lo conosco perché ci siamo parlati spesso. Quando si sceglie un allenatore si va a guardare la bravura e Mancini potrebbe andar bene. Ha fatto quello che in tanti non hanno mai fatto: ha rivisto concetti che aveva espresso in passato".

Con Giorgio De Giorgis, suo rappresentante, la Juventus stando a quanto asserito dall'ad Giuseppe Marotta avrebbe avuto contatti solo per alcuni calciatori. "Mancini ha un contratto con il City e con De Giorgis abbiamo parlato di calciatori, anche di Serie B". Non proprio convincente. Perché negoziare, chiedere se mancano i capitali e se il Delneri bis impone scelte obbligate?

Nota a parte: Alessandro Del Piero, l'uomo che firma in bianco, non ha ancora prolungato. Marotta, interrogato sulla questione, ha rassicurato, come sempre sull'argomento: "Per il rinnovo del capitano è tutto fatto: mancano solo le firme". Tra astinenza e pentimento, di un Carlos Tevez ce ne vedremmo bene. Proprio bene.

mercoledì 29 settembre 2010

Roberto Mancini e la Juve: un futuro prossimo venturo



Mai dire mai. Io aspetto. Perché so essere paziente. E' arte che ho appreso con il tempo e l'esperienza, tra gli errori di chi scivola per eccesso di emotività in ingenui entusiasmi e le osservazioni concrete dei fatti che prepotentemente ti affondano nelle verità che vanno solo ricostruite. Roberto Mancini era l'uomo giusto. Lo sarà al momento opportuno. Quello che ha asserito in conferenza stampa - quella che precede l'incontro di Europa League tra la Juventus e il Manchester City - è solo il reiterarsi di un quadro noto o il percorso che verrà.

"Io allenare la Juventus in futuro? E perché no? In fondo non ho mai avuto alcuna avversità nei confronti di quella squadra, tant'è vero che da piccolo ne ero tifoso. Ora sono concentrato sul conseguimento di tanti successi qui a Manchester, ma nel calcio non si può mai sapere cosa può accadere, dunque mai dire mai".

Quando fu tempo di ribaltare, Ciro Ferrara fu allontanato dopo essere stato egli stesso subentrato a Claudio Ranieri in un volteggiare di nomi su una panchina prestigiosa, blasonata. Che mai, fino ad allora, aveva optato per la dolorosa scelta dell'esonero. Una sconfitta interna più pesante di un risultato negativo. L’unico tecnico di spessore libero quando anche per il delfino dell'ex Marcello Lippi parevano maturi i tempi dell'abbandono era il Mancio che l'11 dicembre 2009 aveva manifestato la propria disponibilità al quotidiano sportivo Tuttosport: "Non sono un nemico della Juve, anzi ero un suo tifoso", aveva dichiarato.

Allora si menzionava un progetto condiviso dagli Elkann con l'ad Jean Claude Blanc e il ds Alessio Secco che avrebbe portato a Torino anche lo staff di fedelissimi del tecnico Ivan Carminati e Giulio Nuciari, rispettivamente pre­paratore atletico e dei portieri sia du­rante l'esperienza laziale del Mancio, sia successivamente all'Inter. Un progetto diverso, uomini diversi. Meno di un anno fa. Ma tutto può mutare 8di nuovo), se si sa aspettare.

venerdì 11 dicembre 2009

Roberto Mancini, il migliore possibile



Uomini pochi allineati. Guasconi e strafottenti e arroganti e eccellenti in ogni ovvia, metodica pratica che al loro intervenire si rivela luminosa. Così è essere un numero dieci, un uomo mercato dall'intuizione rara, un attaccante di fantasia, un tecnico da sette trofei dopo decenni di nostalgia assolata. Che si attacca in una Milano sul finire del campionato, come quando si è Roberto Mancini.

Essere Mancini non è da tutti. Non è per chiunque, Roberto. D'altronde la panchina della Juventus non si affida ad allenatori indisciplinati o molli in un simile momento di disfacimento del vecchio corso e in cui si prova ad intraprenderne uno nuovo. Grazie e altrettanto, quindi agli altri che non siano il Mancio.

Nel processo grossolano a cui è stato sottoposto Ferrara - più Mourinho che Ciro nella conferenza pre Bari - si sono indicati in Claudio Gentile, Luciano Spalletti (prima che firmasse il triennale con lo Zenit San Pietroburgo), in Guus Hiddink i successori senza che nessuno di questi sintetizzasse quei requisiti che il Mancio oggi, in due distinte interviste (raramente si è prodigato nello spendere una simile loquacità), ha ribadito di possedere per poter risollevare questa squadra compromessa nell'identità stilistica, estetica e formale. A Tuttosport ha raccontato di un passato sentimentale, una sorta di amarcord marchigiano:


"Da bambino mi sorbivo ore di pullman dalla mia Jesi per venire al Comunale a tifare la Juve".


Stessi toni affabulatori nelle risposte meno esaltanti riportate da Il Giornale in cui all'ardore preferisce la morigeratezza e la solidità:


"Ripeto, alleno per mestiere. Non è un discorso di Juve o di altri. Vado da chiunque mi voglia e mi offra un progetto. Non ho la presunzione di scartare nessuno".

Ha costruito un gruppo di giocatori vincenti, i migliori per quel sistema di gioco e quegli obiettivi. Ha contenuto le critiche e compattato - con momenti di tensione e difficoltà - lo spogliatoio. Ha saputo gestire temperamenti irrequieti. Forse è proprio lui, siano clementi gli ortodossi, il migliore possibile.