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martedì 31 agosto 2010

Juve-Borriello: io vorrei non vorrei, ma se vuoi



La costruzione di un amore e di una squadra richiedono pazienza in parti uguali. Opportunità, talento, capitali si celano in questo campionato di maniera in cui tutto è apparenza. Nulla, in questa sessione di mercato dormiente, ho obiettato fino a questo momento sulle scelte della nuova triade che la Juventus rifondata ha scelto di presentare. Perché ridimensionare le ambizioni espiando le incongrunze passate senza preservare quanto di buono rimasto? Cedere Diego non ha solo esplicitato l'arenarsi di un progetto, ma la rinuncia - mesta - a quella voglia di rivalsa gonfiata dall'onta (per i senatori) di Calciopoli. E, studiando la strategia che l'ha ispirata, l'errore rimane. Non comprendo, mi spiace.

Ora Marco Borriello. Ora Gianpaolo Pazzini. L'uno alternativo all'altro. Facili entusiasmi di manifesta inconsistenza dopo lo stato di osservazione in cui versa la Serie A. Jorge Martinez si ferma, intanto, per un mese. Claudio Marchisio (afflitto dalla sindrome dell'ansia da rinnovo) lascia Coverciano per il lieve (dice il responsabile dello staff medico della nazionale, Enrico Castellacci) infortunio riportato al bicipide femorale. Amauri indisponibile, Iaquinta fuori. Mi passa per la mente che il regista che si sarebbe dovuto acquistare due anni fa non compare nella lista delle entrate. Poche ore rimangono per sigillare gli ultimi contratti. Zebina ha rescisso il proprio contratto per il Brescia, Camoranesi andrà allo Stoccarda, Trezeguet gioca ormai in Spagna (Alicante). Le risorse del vivaio (Ciro Immobile ad esempio) sono contropartite o risorse con cui monetizzare. Siamo lieti che Krasic abbia pagato di proprio conto il viaggio aereo, ma è altrettanto malinconico apprendere che il 24enne difensore del Saint-Etienne Yohan Benalouane arrivato in Italia per le visite mediche sia stato bloccato dalla Juventus (pare sia pronto a firmare con il Cesena). Si è preferito Tasci? E perché?


Krasic, Martinez, Storari, Motta, Pepe, Quagliarella: pur distinguendo tra acquisti a titolo definitivo e prestiti, sommati presentano una somma considerevole che non corrisponde alla qualità di quanti dovrebbero sostituire. Forse la Roma riuscirà a convincere Borriello (15 milioni non sono in programma per corso Galileo Ferraris), magari il Pazzo vestirà la maglia cara agli Agnelli. Il caso Grosso continuerà a essere tale. Cambiare ha sempre un costo. Ma deve portare benefici perché non si scivoli (presto) nel pentimento.

domenica 29 agosto 2010

Ibra, il cuore è uno zingaro (e va)



Un'estate fa, la storia di loro due (Ibra e Guardiola). Poi silenzi, lunghi silenzi (sei mesi). L'insofferenza (non assunse quegli stessi atteggiamenti all'epoca in cui si vociferava del suo trasferimento dall'Ajax alla Juventus?), le pretese, il procuratore delle più brillanti (per lui) operazioni degli ultimi cinque anni che tiene le fila.

Zlatan Ibrahimovic, che inizia da Malmo e da un paese nella penisola balcanica anni prima senza che lui stesso ne abbia memoria, è una storia che non so ancora raccontare. Perché palla lunga e ci pensa Ibra, Ibracadabra, Ibracadaver sono semplificazioni che non afferrano l'uomo che può sancire un risultato senza aver mai vinto - davvero - nulla.

L'inquietudine è forse questa dimensione, in cui si alena l'eterna tensione si sfiora ma non si concretizza nulla di più di un titolo (e sommario) del lunedì panacea di questo male. Lasciare l'Olanda per la Torino sabauda nel feudo degli Agnelli, promettersi al Milan e firmare con l'Inter. Non aggiustarsi con Mourinho e preferirgli Pep che neanche gli parla, stando alle dichiarazioni odierne. E' una recherche estenuante, un peregrinare continuo in cui non solo il denaro detta tempi e modi. E che lo ha ricondotto a Milano, al Milan.

Zlatan è una storia che non so raccontare. Perché deve ancora accorgersi del suo talento e preservarlo senza lasciare che quel suo temperamento troppo sanguigno lo inquini. Champions, scudetto, Pallone d'Oro vogliono anche riflessione, strategia.

giovedì 26 agosto 2010

Arrivederci amore, ciao (Diego)



Senza di te.

Senza Diego. Che disegno ossessivo si insegue negandosi Diego? Me lo domando metabolizzando un'estate flebile per intenzione, slanci ed emotività. Si accusa la lontananza di quelle aspirazioni imperialistiche che animavano un calcio postmoderno, in cui la zona sacchiana illudeva la moltitudine di una supremazia inarrestabile. Un'estate fa, 24 milioni di euro per convincere il Werder Brema, oggi visite mediche e ufficialità - de facto - del suo trasferimento al Wolfsburg per 15 milioni di euro più due milioni qualora si raggiunga l'obiettivo della qualificazione in Champions League. Più decadente che riformista questa Juventus di nuova specie.

Rinunciare a Diego, all'estro, alla fantasia per sublimare un progetto delneriano in contrasto con la ricerca, che darà? Che ne verrà (a parte i 4,5 milioni di ingaggio che si verseranno per il prestito di Fabio Quagliarella dal Napoli)?

Invece, si scrive, si dibatte, si registra dell'effetto domino scaturito dall'addio di Mario Balotelli all'Inter che deve ancora palesarsi. O di una Juventus revisionata (così disse all'apertura di questa sessione Beppe Marotta, neo direttore generale). O di un MilanIbrahimovic che darà vigore al campionato rossonero dalle premesse quanto mai incerte. Alla decadenza - irritante - di una Juventus che si plasma sul dogma 4-4-2 sacrificando Diego, Trezeguet, Giovinco e chi eran e ancora rimane sulla lista dalla parte sbagliata. La Serie A ha inizio. Ma è l'ex. La dissoluzione del pacchetto di marketing mai entrato nella mitologia che vorrebbe il nostro il più bel campionato al mondo e che si è ripiegato - ormai - su se stesso senza eccellenza, fascino e uomini. Se rimane ciò dello stile Juve (tanto per) non si è poi così lontani dal vero.


martedì 3 agosto 2010

Balotelli, una rottura che fa male (e non è a Toronto)

Via Balotelli che ne resterà dell'Italia che si farà? Che ne sarà della dichiarazione d'intento pronunciate a mezzo stampa dal neo commissario tecnico Cesare Prandelli? Che ne sarà di noi? La stagione a venire, più che prossima, sottrarrà alle nostre osservazioni le prodezze di Mario che ha preferito Manchester e Roberto Mancini.

Ho ritenuto un giocatore a perdere Mario Balotelli, fin dalla formalizzazione dell'incarico di Mino Raiola. Procuratore abile, astuto fino a risultare spregiudicato (vedi Nedved, Ibrahimovic, Maxwell), avrebbe indotto società cioè l'Inter (è in vendita, si sta sistemando i conti o cosa?) e giocatore a cambiare.

Perché affidarsi a lui, d'altronde, se non per rompere un legame che aveva un che di viscerale? Fin qui le domande, in una sorta di flusso di coscienza di inizio agosto, in una giornata afosa in cui l'attesa di un segno, di una nota, di una qualche dichiarazione che confermi quello che già si è interiorizzato giunga per chiudere una querelle fin troppo logora.

Eppure Mario, come osserva correttamente Roberto Baggio investito di questo ruolo federale per cui dovrà dimostrare qualcosa, depaupera con questa sua scelta la Serie A.

Sicuramente non l'Inter (che incasserà almeno 30 milioni di euro e magari una prelazione su giocatori di interesse come nel caso di Elano), ma il nostro scrivere, il nostro indugiare tra le righe in analisi cospicue e frementi sì. L'assenza di Balotelli si comprenderà più avanti, quando il solo Antonio Cassano saprà innescare quei meccanismi virtuosi che solleticano i fantasiosi del calcio. Le nuove linee hanno tutto da dimostrare. Ciro Immobile si misurerà con questa grande opportunità che rappresenta il Siena, Sebastian Giovinco (vicinissimo al Parma) vuole spazio per ricevere maggiore considerazione, Simone Verdi promette, Davide Santon ricomincerà da Benitez. D'estate ci si accende, d'inverno si comprende.

Mario, però, non è a Toronto. Problemi con il passaporto, dicono. Nulla di conforme, in questa serata agostana. Poco male, per sbarcare a Manchester non gli servirà.