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venerdì 29 giugno 2012

Calciopoli, Moggi ricorre al Tar del Lazio ma perde contro Petrini


Una conferma, l'ennesima, che Luciano Moggi non arretrerà. Nonostante sentenze, tribunali e presunte opportunità la querelle prosegue. Contro la sentenza dell'Alta Corte di Giustizia di giustizia sportiva, i legali dell'ex dirigente della Juventus, come asserito all'indomani della decisione, hanno presentato ricorso al Tar del Lazio. 

L'Alta Corte aveva confermato la radiazione di Moggi, Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini, aggiungendo elementi ulteriori a costruire una verità ancora parziale e ancora controversa riassunta nella sintesi giornalista come Calciopoli.

Affermazioni che si sono tradotte nella sostanza delle cose. 

Una nota di continuità, dopo aver incassato il 27 giugno scorso la sentenza da parte del tribunale di Milano, rende noto Il Fatto quotidiano, per la causa civile intentata a Carlo Petrini e alla Kaos Edizioni da Lucianone. 

Troppo tardi però, perché Petrini possa replicare. Scomparso il 16 aprile scorso a causa di una lunga malattia, figura molto distante dalla santità calcistica e spirituale, aveva cercato e in parte trovato una redenzione attraverso la dedizione alla scrittura e all'inchiesta sull'orroe di un calcio marcio in cui aveva descritto abbondantemente vicende legate a Moggi. Più da nemico che da avversario come nel suo ultimo libro al centro della vicenda giudiziaria, Lucianone da Monticiano.


lunedì 16 aprile 2012

Morte Petrini, nel dio pallone: scommesse, debiti e doping

Assemblare fatti e documentarne la solidità con libri, testimonianze, atti e processi. Per uno strano incrocio, Carlo Petrini è nato nella Monticiano di Lucianone Moggi a cui dedica l'ultimo libro per cui gli era stata promessa una querela ancora prima della pubblicazione. Di procedimenti, verità supposte e da provare vantava un'esperienza pluriennale Petrini, da quando aveva deciso di intraprendere una guerra sintomatica dell'esigenza di un impegno civile contro doping e quel sistema calcio che non si chiude certo oggi, con la sua morte a 64 anni.

Era un attaccante, Petrini. Da giocatore ha vestito la maglia della Roma e del Milan di Nereo Rocco, con cui vinse una Coppa dei Campioni (1968-1969), e del Torino che vinse la Coppa Italia. Ma è stato anche attaccante del Verona, del Cesena, del Bologna solo per citarne alcune di quelle società che lo tesserarono. Nel fango dei dio pallone, contaminato, sudicio, marcio in cui Petrini ricopriva un ruolo. D'altronde non esitsono innocenti, ma solo dievrsi gradi di responsabilità. Come ci insegna quel suo primo libro-documento testimonianza di una conversione, di un impegno civile che lo aveva indotto a strisciare fuori dall'artificialità del calcioscommesse e di quella bonaria squalifica di tre anni e sei mesi amnistiata dopo la vittoria dell'Italia al Mondiale del 1982.

Una revisione seguita anche alle vicende personali: imprese personali rivelatesi fallimentari, usurai non pagati, debiti ingigantiti. Per sfuggire ai creditori, decise di lasciare l'Italia per la Francia cercando di scivolare nell'anonimato.

Interruppe i rapporti con chiunque, anche con la famiglia. Nel 1995, suo figlio Diego, vittima di un tumore al cervello, chiese di lui. Ma Petrini non rientrò neanche dopo l'appello del ragazzo spirato a 19 anni nel disinteresse del padre e della società in cui giocava da due anni, la Sampdoria.

Personaggio chiaroscurale, trasfigurato di quella necessità così frequente nella società dei consumi di investire di un ruolo semplice, chiaro un nuovo eroe, un ex giocatore convertito da denaro, investimenti e legami discutibili in una figurina da album Panini



L'espiazione si è rivelato un percorso, nell'altra vita di Petrini quella segnata dal rientro in patria nel 1998 e dalla sua attività di scrittore: Nel fango del dio pallone (Edizioni Kaos) non va ridotto al genere dell'autobiografia per allettare la morbosità di un pubblico alla ricerca del voyerismo gossipparo. E' lo spaccato di un calcio marcio, malato in cui al connivenza e la prossimità con la disponibilità alla discussione di ogni regola etica, morale che ci viene restituita da inchieste giudiziarie. 

L'intento di sollevare l'attenzione dell'opinione pubblica su cose di calcio di dubbia veridicità sottintese ne Il calciatore suicidato ricalcano questo impegno. A scrivere di Donato Denis Bergamini e della sua morte (su cui recentemente la procura di Castrovillari ha aperto un nuovo fascicolo) non furono in molti allora, non lo sono oggi.

La malattia è riuscita dove neanche l'innaturale dramma di suo figlio è riuscito: il deterioramento fisico, secondo alcuni medici da correlare all'assunzione spudorata di farmaci dopanti che avrebbero contribuito all'esplosione di malattie in giocatori professionisti tra gli anni '60 e '70, ne aveva plasmato la personalità e proiettato in un contesto di evidente denuncia civile di un sistema corrotto dalla commistione di interessi, malavita e ambizione. Una rete di cui anche Petrini ha fatto parte, con la particolarità che mai ha negato di averne preso parte.