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domenica 12 settembre 2010

Caracciolo, la scelta giusta

[tempo passato]
Avere vent'anni e la provincia. Che non ti appartiene. E non ti conosce. Cresci a Milano, magari a Cesano Boscone, impari a giocare a calcio, il Milan ti arruola come difensore centrale del futuro anteriore perché sei alto, solido. Cambi, cresci, prometti. E diventi Andrea Caracciolo, ti ritrovi nel Brescia di Carletto Mazzone e tiri palloni a Roberto Baggio e a Pep Guardiola. Ma hai vent'anni e non è Brescia la fine del mondo, dove tutto il vivere ti risucchia.

Lasci la tua casa, lasci la tua storia, cerchi di abusare di una possibilità senza - forse - convincertene. Perché ti hanno plasmato attaccante e devi segnare. Devi segnare. Devi segnare. Non sei più tu, perché le statistiche dicono che non sei più. Sei il vice di qualcuno, anche se si chiama Amauri è sempre qualcuno. Non ti piace questa vita. Vai a Genova, nella Sampdoria che ti accoglie. Come Antonio Cassano, come Vincenzo Montella. Credi nelle tue risorse, credono nelle tue braccia aperte a disegnare l'orizzonte? Chissene. Meglio riflettere, meglio pensare. Non importa che capiscano.

[tempo presente]
Nell'ultimo giorno di mercato, di un gennaio spigoloso tanto freddo faceva, in quanti avranno condiviso la tua decisione? Oggi mi segni il primo gol del ritorno del Brescia in Serie A contro il Palermo (il passato torna sempre). Scelta difficile la tua: preferisci quella società dove sei cresciuto quando ti saresti potuto arricchire accettando l'offerta dei Glasgow Rangers. La strada è solo un po' più lunga. Più irta, sconnessa. Ma ti conduce ai luoghi che ti appartengono e a cui appartieni. A diventare ciò che sei.

domenica 5 settembre 2010

Tomizawa, il motomondiale dell'indifferenza




Mi disturba. Mi disturba assistere - impotente - alla morte di un ragazzo di 19 anni. Che fosse un pilota di Moto2 poco conta. Mi disturba vederlo immobile giacere in pista - quella di Misano - mentre gli altri continuano. Prendono le misure, calcolano il momento dell'entrata, quando lasciare il gas o al contrario aumentarlo. Mi disturba.


Mi disturba che si prosegua, nel teatrino dell'indifferenza. La bandiera rossa non ha sventolato, perché così hanno ritenuto opportuno. E' stata davvero la scelta migliore? No. Per portare via dalla pista Tomizawa quanto prima, uno dei paramedici è inciampato nella ghiaia. Si deve correre, fare in fretta. Alex De Angelis e Scott Redding lo hanno (involontariamente) investito. Arriveranno gli altri, si procede. Velocità, attenzione, via di fuga. La barella è caduta da un lato. Troppa grazia smettere per consentire l'uscita - umana, decente - dello staff medico intervenuto per assistere Shoya. Mi disturba che si arringhi una difesa d'ufficio che guasta qualunque compassionevole dedica a un pilota che non aveva ancora capito che significa avere vent'anni.


Mi disturba che il cerimoniale non sia stato modificato se non dalle parole dei singoli intervenuti ai microfoni dopo la gara della Motogp. Me lo domando, nonostante abbia ascoltato Claudio Costa - medico da decenni al seguito dei piloti e responsabile della clinica mobile del motomondiale -, il dottor Claudio Macchiagodena, Graziano Rossi. Ho preso appunti malamente. Mi disturba ascoltare i fischi - è d'abitudine quest'oggi - rivolti a Jorge Lorenzo sintomatici di una rappresaglia plebea: Valentino Rossi si merita molto di meglio. "La gara della Moto2 - ha spiegato Rossi a fine gara - andava fermata, ci voleva la bandiera rossa. E non capisco perché non sia stata data". Asciutto, chiaro. Questa becera mercificazione, evidentemente, disturba anche lui.

Sakineh, una storia semplice


Una storia complicata, una storia semplice.

martedì 31 agosto 2010

Juve-Borriello: io vorrei non vorrei, ma se vuoi



La costruzione di un amore e di una squadra richiedono pazienza in parti uguali. Opportunità, talento, capitali si celano in questo campionato di maniera in cui tutto è apparenza. Nulla, in questa sessione di mercato dormiente, ho obiettato fino a questo momento sulle scelte della nuova triade che la Juventus rifondata ha scelto di presentare. Perché ridimensionare le ambizioni espiando le incongrunze passate senza preservare quanto di buono rimasto? Cedere Diego non ha solo esplicitato l'arenarsi di un progetto, ma la rinuncia - mesta - a quella voglia di rivalsa gonfiata dall'onta (per i senatori) di Calciopoli. E, studiando la strategia che l'ha ispirata, l'errore rimane. Non comprendo, mi spiace.

Ora Marco Borriello. Ora Gianpaolo Pazzini. L'uno alternativo all'altro. Facili entusiasmi di manifesta inconsistenza dopo lo stato di osservazione in cui versa la Serie A. Jorge Martinez si ferma, intanto, per un mese. Claudio Marchisio (afflitto dalla sindrome dell'ansia da rinnovo) lascia Coverciano per il lieve (dice il responsabile dello staff medico della nazionale, Enrico Castellacci) infortunio riportato al bicipide femorale. Amauri indisponibile, Iaquinta fuori. Mi passa per la mente che il regista che si sarebbe dovuto acquistare due anni fa non compare nella lista delle entrate. Poche ore rimangono per sigillare gli ultimi contratti. Zebina ha rescisso il proprio contratto per il Brescia, Camoranesi andrà allo Stoccarda, Trezeguet gioca ormai in Spagna (Alicante). Le risorse del vivaio (Ciro Immobile ad esempio) sono contropartite o risorse con cui monetizzare. Siamo lieti che Krasic abbia pagato di proprio conto il viaggio aereo, ma è altrettanto malinconico apprendere che il 24enne difensore del Saint-Etienne Yohan Benalouane arrivato in Italia per le visite mediche sia stato bloccato dalla Juventus (pare sia pronto a firmare con il Cesena). Si è preferito Tasci? E perché?


Krasic, Martinez, Storari, Motta, Pepe, Quagliarella: pur distinguendo tra acquisti a titolo definitivo e prestiti, sommati presentano una somma considerevole che non corrisponde alla qualità di quanti dovrebbero sostituire. Forse la Roma riuscirà a convincere Borriello (15 milioni non sono in programma per corso Galileo Ferraris), magari il Pazzo vestirà la maglia cara agli Agnelli. Il caso Grosso continuerà a essere tale. Cambiare ha sempre un costo. Ma deve portare benefici perché non si scivoli (presto) nel pentimento.

domenica 29 agosto 2010

Ibra, il cuore è uno zingaro (e va)



Un'estate fa, la storia di loro due (Ibra e Guardiola). Poi silenzi, lunghi silenzi (sei mesi). L'insofferenza (non assunse quegli stessi atteggiamenti all'epoca in cui si vociferava del suo trasferimento dall'Ajax alla Juventus?), le pretese, il procuratore delle più brillanti (per lui) operazioni degli ultimi cinque anni che tiene le fila.

Zlatan Ibrahimovic, che inizia da Malmo e da un paese nella penisola balcanica anni prima senza che lui stesso ne abbia memoria, è una storia che non so ancora raccontare. Perché palla lunga e ci pensa Ibra, Ibracadabra, Ibracadaver sono semplificazioni che non afferrano l'uomo che può sancire un risultato senza aver mai vinto - davvero - nulla.

L'inquietudine è forse questa dimensione, in cui si alena l'eterna tensione si sfiora ma non si concretizza nulla di più di un titolo (e sommario) del lunedì panacea di questo male. Lasciare l'Olanda per la Torino sabauda nel feudo degli Agnelli, promettersi al Milan e firmare con l'Inter. Non aggiustarsi con Mourinho e preferirgli Pep che neanche gli parla, stando alle dichiarazioni odierne. E' una recherche estenuante, un peregrinare continuo in cui non solo il denaro detta tempi e modi. E che lo ha ricondotto a Milano, al Milan.

Zlatan è una storia che non so raccontare. Perché deve ancora accorgersi del suo talento e preservarlo senza lasciare che quel suo temperamento troppo sanguigno lo inquini. Champions, scudetto, Pallone d'Oro vogliono anche riflessione, strategia.

giovedì 26 agosto 2010

Arrivederci amore, ciao (Diego)



Senza di te.

Senza Diego. Che disegno ossessivo si insegue negandosi Diego? Me lo domando metabolizzando un'estate flebile per intenzione, slanci ed emotività. Si accusa la lontananza di quelle aspirazioni imperialistiche che animavano un calcio postmoderno, in cui la zona sacchiana illudeva la moltitudine di una supremazia inarrestabile. Un'estate fa, 24 milioni di euro per convincere il Werder Brema, oggi visite mediche e ufficialità - de facto - del suo trasferimento al Wolfsburg per 15 milioni di euro più due milioni qualora si raggiunga l'obiettivo della qualificazione in Champions League. Più decadente che riformista questa Juventus di nuova specie.

Rinunciare a Diego, all'estro, alla fantasia per sublimare un progetto delneriano in contrasto con la ricerca, che darà? Che ne verrà (a parte i 4,5 milioni di ingaggio che si verseranno per il prestito di Fabio Quagliarella dal Napoli)?

Invece, si scrive, si dibatte, si registra dell'effetto domino scaturito dall'addio di Mario Balotelli all'Inter che deve ancora palesarsi. O di una Juventus revisionata (così disse all'apertura di questa sessione Beppe Marotta, neo direttore generale). O di un MilanIbrahimovic che darà vigore al campionato rossonero dalle premesse quanto mai incerte. Alla decadenza - irritante - di una Juventus che si plasma sul dogma 4-4-2 sacrificando Diego, Trezeguet, Giovinco e chi eran e ancora rimane sulla lista dalla parte sbagliata. La Serie A ha inizio. Ma è l'ex. La dissoluzione del pacchetto di marketing mai entrato nella mitologia che vorrebbe il nostro il più bel campionato al mondo e che si è ripiegato - ormai - su se stesso senza eccellenza, fascino e uomini. Se rimane ciò dello stile Juve (tanto per) non si è poi così lontani dal vero.