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domenica 20 giugno 2010

La verità di Lippi





"Nessun allenatore si mette a spiegare la formazione il giorno prima della partita"
- VERO. D'altronde l'Italia bella di Marcello Lippi ha una sua fisionomia. Che sia 4-3-2-1, 4-4-2 o quale altro modulo il vigore della parola plasmerà il gruppo più di ogni lavoro sul campo. E - forse - Marce' avrà ragione di ammonire quanti abusano di scetticismo come snobbistica prova di competenza.

"Domani abbiamo molto da perdere, c'è in gioco il passaggio del turno, quindi lavoreremo sodo" - VERO. L'evoluzione della comunicazione sportiva non deve prescindere da Lippi. Stracciato il mourinhismo, che ne rimane? Che ci rimane? Un sigaro, un buon toscano. Un bicchiere di whisky da sorseggiare prima delle prove decisive. Poi si è pronti a tutto, a sferzare e a galvanizzare i ragazzi. In ciò Lippi è maestro. Come lo è nel modulare voci e toni, repliche e rispostacce. Molto da perdere vuol intendere anche il suo esatto contrario. Basta che a dirlo sia lui.

"Buffon migliora giorno dopo giorno e sta facendo tutte le cure necessarie. Non abbiamo perso la speranza di recuperarlo. Manca Buffon, non c'è Pirlo, Chiellini e Camoranesi hanno avuto problemi, non è stato un buon inizio da questo punto di vista. Ma non piangiamo sulle assenze: è la cosa peggiore che una squadra possa fare. Nel frattempo però ovviamente cerchiamo di recuperare questi grandi giocatori" - VERO. Il gruppo è il gruppo. Napoli e Torino e (saltiamo Milano) Roma e Coverciano e ancora. Il fattore C o anche L (che per molti coincidono) scaturisce dall'analisi delle singole prove, ma davanti all'incontestabile crisi di Spagna, Germania, Francia e Olanda (vittoriosa eppure bistrattata senza riserve dalla stampa) il prosieguo (vedi Zambrotta) può concretizzarsi. Senza sorprendere. Il ct non è da meno dello Special One (per titoli e finali), eppure non gode del medesimo, unanime, riconoscimento. Il lippismo non esiste, non si è mai strutturato. Al contrario del mourinismo, una filosofia del calcio melanconica e autocelebrativa in cui si rischia di essere invischiati involontariamente.


"Ho alzato la voce in allenamento per dire alla squadra di fare gol? Solo per farmi sentire a 30 metri di distanza. Le difficoltà offensive? Abbiamo una settimana di lavoro in più, arriveremo al tiro più facilmente" - VERO. Non che serva, ma manca l'anello di congiunzione. Un Totti, un Del Piero, un (scriviamo piano, piano, piano) Cassano. E magari un centravanti alla Borriello (scartato all'ultimissima convocazione). Ventinove reti in tutto, fino alla serata di sabato, in questi Mondiali sudafricani. Non è una carenza tutta nostrana, dunque. Jabulani, il grande freddo, gli spostamenti: le variabili si incrociano e si moltiplicano per mettere a posto ciò che non quadra.

sabato 12 giugno 2010

Report contro la "legge bavaglio"




Mamma Rai ci dona Milena (Iole) Gabanelli. E con lei questa mal trattata specifica presente nel ddl intercettazioni (o anche legge bavaglio) tra giornalisti pubblicisti e professionisti. Non è questione da scansare, questo minuziosa distinzione operata nel testo.

Nell'azienda concessionaria di servizio pubblico (la Rai) gli operatori sono in larga maggioranza iscritti all'albo. Non tutti a quello dei professionisti. E come la mettiamo nei giornali tradizionali con i grafici? Le figure come produttori o realizzatori in un marasma come quello dell'universo-mondo dell'informazione non sono da meno. Pubblicisti e professionisti, roba da giornalisti. Mica vero, qui si tratta di diritto all'informazione. E l'iscrizione ad albi professionali (o caste o corporazioni come più gradite) non è indispensabile perché si alimenti il dibattito in seno all'opinione pubblica. Affatto.

venerdì 11 giugno 2010

Intercettatemi, intercettateci

10 giugno 2010

Non leggerete più di Calciopoli, non saprete più che c'è chi ride mentre un terremoto ha raso al suolo L'Aquila, non avrete più la sequenza dell'orrore della Diaz davanti agli occhi, non avrete più notizia di quanto accadde a Palazzo Grazioli. Ma voi che bramate perché ciò avvenga, non ci metterete a tacere, non svuoterete di senso la potenza della parola.





Black out. Nero. Non pervenuto.

lunedì 7 giugno 2010

Sgarbi killed the archistar




E' rock. E' lento. E' pop. E' hard art. Facciamo conto che non sia 'L'ultima parola', che non sia una notte fonda di inizio giugno e che anche Sgarbi non sia Sgarbi, quanto un mero aggressore delle bruttezze di cotanta architettura.

Chi inveisce contro le archistar? Il critico? L'esteta? Il narcisista? Svestiamolo di ruoli da circo mediatico condito - solitamente - da contraddittori accesi ad hoc per alimentare un dibattito in cui nulla vi è su cui dire - forse pensare - per riabilitarlo. La difesa di ciò che appartiene all'identità quanto l'arte, la concezione urbanistica, l'architettura non deve ridursi all'accettazione del gusto dominante (concetto labile), ma esprime quel senso di civiltà che pare subordinato a logiche di palazzo.

Quanto sottindende l'invettiva sgarbiana, così barbarica nell'abusare dei termini brutti in contrapposizione alla bellezza insita nell'opera o nelle opere, palesa le alleanze che funzionano. Ciò che è eterno perché inevitabilmente suscita sentimenti eterei si tramuta in orrorifiche scatole di finta modernità (Ara Pacis, tanto per citare un esempio). e le parole sono brutte, cacofoniche.

Quelle stesse parole che lui, l'archistar Massimiliano Fuksas al centro di polemiche senza fine, pare comprima nelle sue opere (dal citato Palazzo della Regione Piemonte all'altrettanto criticata chiesa di Foligno) nella parabola narrata da Sgarbi. Rissa con il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, e querelle verbali di santoriana memoria che gli hanno procurato querela del presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, accuse di sinistrismo e parcelle milionarie. Come finirà tra il critico e il maestro? Nel reality dell'archistar l'epilogo è rimandato al prossimo progetto (forse).

giovedì 3 giugno 2010

Freedom Flotilla, filo spezzato



Riflessione in divenire

Gli equilibri stravolti che ci spiega Lucia Annunziata su La Stampa, il racconto puntuale di Francesca Paci, le testimonianze da Gaza (molteplici e legate ai gruppi di riferimento) ci dipingono uno scenario di disordine e indeterminazione militare e politico. La questione israelo-palestinese non è cosa loro, affatto. E il caso Freedom Flotilla ci insegna che qualcosa è cambiato (in peggio).