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lunedì 7 giugno 2010

Sgarbi killed the archistar




E' rock. E' lento. E' pop. E' hard art. Facciamo conto che non sia 'L'ultima parola', che non sia una notte fonda di inizio giugno e che anche Sgarbi non sia Sgarbi, quanto un mero aggressore delle bruttezze di cotanta architettura.

Chi inveisce contro le archistar? Il critico? L'esteta? Il narcisista? Svestiamolo di ruoli da circo mediatico condito - solitamente - da contraddittori accesi ad hoc per alimentare un dibattito in cui nulla vi è su cui dire - forse pensare - per riabilitarlo. La difesa di ciò che appartiene all'identità quanto l'arte, la concezione urbanistica, l'architettura non deve ridursi all'accettazione del gusto dominante (concetto labile), ma esprime quel senso di civiltà che pare subordinato a logiche di palazzo.

Quanto sottindende l'invettiva sgarbiana, così barbarica nell'abusare dei termini brutti in contrapposizione alla bellezza insita nell'opera o nelle opere, palesa le alleanze che funzionano. Ciò che è eterno perché inevitabilmente suscita sentimenti eterei si tramuta in orrorifiche scatole di finta modernità (Ara Pacis, tanto per citare un esempio). e le parole sono brutte, cacofoniche.

Quelle stesse parole che lui, l'archistar Massimiliano Fuksas al centro di polemiche senza fine, pare comprima nelle sue opere (dal citato Palazzo della Regione Piemonte all'altrettanto criticata chiesa di Foligno) nella parabola narrata da Sgarbi. Rissa con il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, e querelle verbali di santoriana memoria che gli hanno procurato querela del presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, accuse di sinistrismo e parcelle milionarie. Come finirà tra il critico e il maestro? Nel reality dell'archistar l'epilogo è rimandato al prossimo progetto (forse).

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