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martedì 25 settembre 2012

Cellino, l'ultimo dei cowboy


L’ultimo dei cowboy patito della sua chitarra e del pallone prezzolato. Isolano nella misura in cui ciò occorra a sostenere le sue, di tesi. L’ultimo dei cowboy vanta una certa conoscenza della metafisica calcistica, ma non disdegna incarichi ufficiali. Massimo Cellino, imprenditore con il vezzo del bel gioco, fautore di un regno assolutistico ventennale che ha imposto stile e misura a un Cagliari espressione di un polo di potere strutturato. Apparso vorace e grottesco in questa storia da prima pagina ai Palazzi romani di così stretta attualità tra fatture, fatturine e pizzini che sanciscono aperitivi e cenette.
A Cellino, presidente del Cagliari e consigliere della Lega, si è perdonato un certo gusto per la provocazione alquanto stucchevole, di cui l’ennesimo allegato al doc principale è il fax inviato da Miami. Una deriva tollerata con estremo candore da parte delle istituzioni calcistiche (meno da parte di altre altre) e non certo circoscritta all’incomprensibile querelle dello stadio Sant’Elia che contrappone Cellino all’amministrazione comunale e per il terreno scelto per il nuovo impianto (il condizionale è d’obbligo) su cui indaga la magistratura cagliaritana.
Cellino contro tutti e tutto ribalta il senso dell’ordine prestabilito, impone alle regole nuove letture e consente a Zeman di vincere senza subire reti (l’ironia viene facile) nella rassegnazione della Lega e nella censura formale operata dalla Federazione. Il rinvio diCagliari-Roma squarcia quel silenzio alquanto inconprensibile sull’assurda vicenda che contrappone Celllino al comune di Cagliari, alla magistratura, al prefetto e a chiunque altro abbia una qualche autorevolezza per arginare i mutamenti di orientamento dell’eclettico presidente. Trieste, dove vengono disputate le partite casalinghe dei sardi, non è più impianto gradito. Cellino si inventa per questa stagione lo stadio Is Arenas, l’ultima creatura del versatile preisdente, che sfrutta l’impianto di Quartu Sant’Elena non è adeguato per gli standard richiesti in termini di sicurezza e già giocare lì, emerge da una rilettura delle notizie di quei giorni, è una forzatura.
Ma il cowboy sardo, il presidente con residenza a Miami, non se ne cura e sfida le autorità affidando alla potenza del mezzo, ovvero internet la strategia di comunicazione della sua società contravvenendo al senso del divieto di consentire l’ingresso al pubblico. Anzi, crea i presupposti perché possano insorgere problemi di ordine pubblico, da qui il rinvio e quel 3-0 a tavolino per la Roma deciso ai sensi del codice di giustizia sportiva.
La Uefa getta nel ridicolo quest’italiaca propensione al grottesco, sollevando indirettamente ancora una volta l’annosa difficoltà di gestire stadi. L’ultimo dei cowboy incassa, dopo aver tentato con un raro insuccesso di raggirare le regole di quell’istituzione che da consigliere ha mostrato essere più inconsistente e vuota del dovuto.

sabato 14 aprile 2012

Piermario Morosini, morte di un giocatore


Non spenderò che frasi volte a raccogliere il mio vissuto, senza filtrare riflessioni e osservazioni, appellandomi a quella distanza che consente di comprendere i fatti e di saperli riportare aderenti al vero. Venticinque anni per un'esistenza non sono abbastanza per capire che ci appaga, che cosa ci irrita, chi vogliamo ci accompagni. Per Piermario Morosini che si accascia sul campo dello stadio Adriatico, venticinque anni sono pari al risultati della sottrazione tra giorni passati e quelli venturi. Una interruzione atroce, ingiusta, grottesca per le vicende personali e per quella vettura della polizia municipale che ha bloccato l'ingresso allo stadio Adriatico di Pescara. 

Tre, quattro minuti di ritardo. E la constatazione - amara, ridicola - che a impedire l'ingresso fosse una vettura della polizia municipale, come documentano le immagini e le riprese audiovisive.

Un carabiniere ha sfondato il finestrino di quella macchina che ostruiva il passaggio, impedendo il transito per la via di accesso principale alla struttura e al campo, dove nel frattempo il massaggiatore del Pescara e il dottor Paloscia stavano praticando il massaggio cardiaco al centrocampista del Livorno, in arresto. Una automobile in dotazione alla polizia municipale. Spostata a braccio dai vigili del fuoco. 

Una vettura evidentemente chiusa, davanti alla principale via d'accesso e di fuga dell'impianto sportivo. Indagine interna e approfondimenti della magistratura chiariranno perché quell'auto fosse lì. Non è questione da poco, non lo è affatto. E se il sindaco Luigi Albore Mascia ha risposto solo in serata i presupposti per ritenere scellerata quella circostanza sono legittimi. 

Quella vettura dei vigili urbani lasciata in sosta lì denota un "atteggiamento superficiale", dice il sindaco dopo le 21 per poi aggiungere "chi ha sbagliato pagherà, saranno adottati provvedimenti sulla base della relazione d'indagine". E così sia. 

Attendo l'esito delle indagini: dei 14 vigili in servizio nessuno si è presentato per spostare in tempi ragionevoli quell'auto. Ripeto: una vettura della municipale. Ripeto: un segno di profonda, drammatica inciviltà.





sabato 31 marzo 2012

Un infarto stronca Franco Mancini, il ragazzo di Zemanlandia



Saluti anche Franco Mancini. E, come avviene con una frequenza inaudita per i conti imposti tuo malgrado dalla sequenza di luoghi e avvenimenti che compongono il tuo passato, provi a ricordare i motivi - assurdi, inspiegabili, secondo cui questo uomo solido, forte si chiude in quelle frasi scritte da Francesco de Gregori per Agostino De Bartolomei.

Non hanno similitudini apparenti, Mancini e Di Bartolomei se non quella comune passione per il pallone e quella dedizione assoluta al calcio che ne ha fatto da giocatori poi dei tecnici, dei dirigenti. Non ricoprivano lo stesso ruolo, non sono associati alla stessa maglia. Ma forse sono banale e rispolvero con una innocenza l'insegnamento della 'Classe calcistica' per leggere Mancini, il portiere di Zeman. Uno dei suoi ragazzi.

A 43 anni si alza, va al campo, segue l'allenamento e torna a casa. Stop, finito. Un infarto, sembrerebbe la prima ipotesi fatta dopo i soccorsi da parte dei sanitari del 118 chiamati dalla moglie dell'ex portiere di Foggia e Napoli, rientrata a casa con un'amica.


Mancini, originario di Matera, aveva cominciato a giocare in C2 nella squadra della sua città per poi incrociare la strada di Zeman a Foggia, dove partecipa alla scalata fino alla serie A. Un portiere di concezione moderna che colma le distrazioni della difesa, che entra in gioco con i piedi al momento opportuno. 


Dopo quell'esperienza che segnerà la sua carriera, c'è stato il Bari, dove gioca per tre stagioni, quindi l'avventura al Napoli dal 2000 al 2003. 

Gli ultimi anni di carriera li trascorre in C, tra Pisa, Sambenedettese, Teramo, Salernitana e Martina, fino alla firma col Fortis Trani, nella Promozione pugliese, dove conclude la carriera nel 2008. Un addio che segna il ritorno a Zemanlandia, con l'incarico al Pescara del tecnico boemo. Fino a ieri, il giorno del suo ultimo allenamento.



Il comunicato del Pescara Calcio:
Abbiamo appreso, increduli, della prematura scomparsa del nostro Franco Mancini, preparatore dei portieri biancazzurro. Franco ci ha lasciato all'improvviso questo pomeriggio, colto da un malore che gli è stato fatale. In questo momento ogni parola è superflua, ogni pensiero è confuso se ci viene in mente che questa mattina l'abbiamo visto in campo ad allenare i suoi portieri per prepararli al meglio per la gara di domani contro quel Bari di cui era stato anche vicecapitano.
Domani il suo Pescara e il suo Bari osserveranno un minuto di silenzio e giocheranno con il lutto al braccio. E ogni parata sarà per lui.
Ci stringiamo intorno alla tua famiglia che ami tanto e ai tantissimi che ti vogliono bene.
Ci manchi
Ciao Mancio