Roberto Sosa, El Pampa, di mestiere fa il calciatore. Non è uno qualunque. Ci sa fare, ha intellingenza tattica, sagacia e altruismo raro. Chiudi gli occhi e in quella frazione infinitesimale del tuo tempo ha già preso una decisone che si rivelerà fondante, pregnante per quel risultato. Perché sui campi quando si gioca, si apprende senza alibi che una partita va letta dalla fine, dal suo risultato a ritroso. Sosa indossa dal 1998in avanti la maglia del Napoli, prima ancora dell'Ascoli, dell'Udinese e del Messina. Gode di una stima pressoché totale da parte dei tifosi. Ma arriva sempre una fase di cambiamento, una parentesi in cui circoscrive la consueta celebrazione del giocatore per ammettere di cercare uno spazio adeguato per chiudere.
E' il 2010 quando Sosa decide di entrare nella Sanremese, una squadra di Seconda Divisione. La situazione di apparente tranquillità della provincia si rivela, al contrario, ricca di tensione. La contestazione da parte dei sostenitori è pressoché cosa ordinaria. La società non gli paga più le bollette e disdice a sua insaputa il contratto di affitto a sua insaputa (davvero, a sua insaputa) come racconta Pierpaolo Romani nel suo libro Calcio criminale e le cronache (giudiziarie) di questo lembo di terra.
Il 16 dicembre, dopo aver finito una seduta di fisioterapia, Sosa sale a bordo della sua auto. Lo sportello dell'auto, lato passeggero si apre. Al suo fianco siede un uomo con in pugno un'arma. Gli punta la pistola contro la coscia, minacciondolo. "Guardami in faccia, so dove tuo figlio va a scuola. Ci siamo capiti?". Non è una conversazione amichevole, ovvio. L'approccio nella Liguria inquinata da incendi, racket e violenze che hanno ammesso l'emergere di una inquietante commistione tra attività e criminalità organizzata, principalmente 'ndrangheta, è intimidatorio. Dietro questa minaccia, viene appurato dalla magistratura, c'è la società che vuole ottenere in questo modo la rescissione del contratto.