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domenica 19 settembre 2010

Valentino Rossi, operazione dopo Valencia


(nella foto l'omaggio allo sfortunato Shoya Tomizawa)

C'è un ragazzo che si chiama Valentino Rossi, è nato a Tavullia e in moto va fortissimo. Da sempre. Scorri le sue foto e ti accorgi che è sempre stato legato al giro. Di quelle immagini neanche sbiadite di un bambino sui circuiti dedicati alle minimoto rimane l'espressione da guascone. E' un uomo, adesso, ha 31 anni e veste il ruolo complesso di pilota in MotoGp tra due scuderie. Quella per cui gareggia, oggi la Yamaha e quella che ha scelto domani, la Ducati. Di mezzo c'è un'operazione alla spalla che pare inevitabile. E a cui verrà sottoposto a fine stagione. Non ne parla, Vale. Forse si risparmia le critiche che seguirebbero, data la decisione di intraprendere un percorso diverso.

Preferisce il sistema indotto da Giacomo Agostini che, con una domanda assolutamente legittima, aveva ricevuto - durante un evento al Mugello - la conferma direttamente da Vale documentato in un filmato. La frattura esposta operata con annesso recupero record non preoccupa né ha compromesso il resto della stagione deciso il rientro. A incidere è più quell'infortunio maledetto alla spalla, riportato in allenamento su una moto da cross, peggiorato dallo stress sofferto sul circuito toscano.

"Mi fa male - si è sentito dire al pilota intercettato dalla telecamera - mi fa troppo male, non guarisce, devo operarla". E così sarà: l'intervento sarà fissato quasi sicuramente a fine stagione compatilmente con quanto concordato con i team coinvolti, ovvero Yamaha e Ducati in conflitto anche per quanto riguarda i pochi test invernali in calendario dopo il Gp di Valencia.

Inutile obiettare che si poteva evitare di forzare i tempi per il rientro - miracoloso - in pista del Dottore. Non si ricorre a una dietrologia scolastica quando si osserva che la riabilitazione è un 2+1 (mesi) nella più rossiana delle ipotesi. La Yamaha avrà valutato nel rapporto costi-benefici l'opportunità di rinunciare a Rossi quando, poi, i rapporti con il pilota non parevano esemplari. Ancora una volta, di nuovo è tutta questione di tempismo. Vedi Casey Stoner.



Valentino Rossi annuncia ai tifosi il passaggio alla Ducati. Il "Dottore" in un video sul Web: è l'avventura più bella
Caricato da Apcom-Video. - Video notizie dal mondo.

sabato 18 settembre 2010

Mistero Pato: la caviglia e Milan Lab




Della misteriosa e malevola sorte di Alexandre Pato (fuori tre settimane a causa di una distrazione all'adduttore della gamba sinistra) si è scritto quanto del suo talento. La sua storia è intrisa di realismo magico per la malattia - un tumore osseo - che lo colse quando i riccioli non si dovrebbero neanche girare attorno a un dito. Correva, correva veloce fino all'Internacional di Porto Alegre. E al Milan, quando Leonardo rivestiva un ruolo dirigenziale.

La sua sorte non è stata scansata del tutto. Dal suo arrivo a Milanello, Alexandre ha intrapreso un calvario. Una sequenza di fastidi, distorsioni, stiramenti, distrazioni che lo ha lasciato ai margini. Una fragilità ossessiva che ha pregiudicato e pregiudica la continuità, le convocazioni in Nazionale e tutto quello che già potrebbe essere suo di diritto. Senza Pato, il Milan non è denso di fantasia. Ibra e Robinho allettano, ma non iptonizzano come il Papero. Non che sia una dissonanza, questo suo diversificarsi, rispetto al resto.

Federico Buffa, intervistato da Milan news non si è sottratto, nel suo sapiente linguaggio da narratore, alla scomoda individuazione di un nodo. Perché per Pato, c'è un Ronaldo un Kakà.

“Mi permetto di segnalare un’osservazione che mi fu fatta da un’eccellente osteopata con indirizzo sportivo, un uomo che stimo molto. Mi disse un anno e mezzo fa che Pato avrebbe avuto un problema muscolare dopo l’altro. Il motivo? Dalla distorsione alla caviglia di Firenze, nel febbraio 2008, tremenda, quando gli si girò la caviglia di 40 gradi, il Milan non s’è mai preoccupato di ridargli la postura originaria. Non avendo ridatogliela, questo ragazzo sarebbe stato soggetto a grossi problemi muscolari, cosa che si è rivelata puntualmente da lì in poi, e aggiungo empiricamente, ora che è spaventato al minimo dolore si ferma, per paura di lacerare i muscoli. In Champions s’è infortunato all’altro adduttore, ma il senso è quello, la ricaduta dell’anno scorso s’è fatta sentire. Il Milan dovrebbe iniziare a pensare che i muscoli che non avevano avuto niente all’improvviso sono sempre in discussione, per una diversa struttura posturale. Bisognerebbe lavorare in una maniera diversa, il Milan ha cambiato struttura sanitaria, è uno dei dati estivi, vediamo quale atteggiamento assumono, già con Thiago Silva e Nesta non hanno voluto forzare, vogliono che i giocatori siano convinti. Le stagioni passano molto dagli infortuni e da come vengono trattati”.




Milan Lab, glorificata all'indomani del successo rossonero di ancelottiana memoria, è una struttura costantemente studiata, analizzata. Non solo da un conoscitore dell'ambiente come Buffa. E' per il caso Ronaldo, per la gestione e per i recenti mutamenti che ridistribuiscono pesi e valori dell'assistenza sanitaria ai tesserati (tema sensibile, inserita anche nel manifesto dell'Associazione dei calciatori e motivo per indire lo sciopero) e a sportivi come il tennista toscano Filippo Volandri, che il centro non manca di destare attenzione.

Per il suo fondatore Jean-Pierre Meessermann, chiropratico laureatosi negli Stati Uniti presso il Palmer College a cui anche il premier-presidente Silvio Berlusconi si è rivolto. Le sue scelte si sono rivelate discutibili e una certa parte della stampa - dietro sapienti suggerimenti - non ha esitato a dubitare dell'opportunità di affidargli un centro di ricerca medica. La deflagazione scaturita dalle dichiarazioni di Ricardo Kakà quando il suo trasferimento a Madrid era pressoché certo non ha che foraggiato il partito dei colpevolisti. Se la tesi avesse fondamento, la data del rientro di Patuzzo sarebbe solo - e solo - un particolare.

mercoledì 15 settembre 2010

Ibra, Borriello e l'attaccante che manca alla Juve




Quanto tempo c'è, quanto tempo abbiamo perché si possa consolidare un giudizio denso, che poggi su accadimenti insindacabili, a prescindere dall'indole e dalle preferenze? Tra parentesi si collocano: dubbi, incertezze, infortuni, antipatie, maglie, donne, colori. Tutto si evolve, muta forma. Due attaccanti uniti dalla Juventus si incontrano a distanza. Uno ha vissuto lì l'inizio, l'altro ha scelto di non abbracciare il nuovo progetto. Ibrahimovic e Borriello sarebbero potuti essere e non sono stati. E oggi la loro assenza, per motivi diversi, forse non è un male.

Nella notte dell'epopea milanista e della dissoluzione romanista, due giocatori che per esigenze diverse hanno omesso corso Galileo Ferraris dalla loro storia si intersecano.

Zlatan Ibrahimovic non commette alcun errore. Marco Borriello ne commette uno, fatale. Determinante. Se ne assume responsabilità e oneri. Ne osservo le movenze. Ne studio la reazione.

Sì, ammette la leggerezza ai microfoni e conosce il debito che grava ora sulla sua nuova squadra, sulla sua nuova società (chi la comprerà, chi sarà il prossimo a soddisfare il popolo?). Era un giocatore della Juventus, poi un sms, un colloquio parallelo (vero?) e fu Fabio Quagliarella in lite con Walter Mazzarri, allenatore del Napoli.

Quando Zlatan, l'uomo senza fede e senza affezione, arrivò in Italia si era inimicato l'ambiente dell'Ajax che lo aveva reso un attaccante di vigore. Ma Luciano Moggi lo aveva imposto, nel suo stile, convinto che non avrebbe deluso le aspettative. E' diventato Ibra, alla Juventus. Ma ha scelto di legarsi al proprio egocentrismo promettendo sentimenti quasi mai ricambiati.

Borriello, invece, ha declinato convinto l'offerta bianconera. E non è l'uomo giusto. Non è quel giocatore di cui Del Neri poteva fidarsi per condurre quel piano che ha deciso di realizzare (un 4-4-2 operaio). E' il miglior non acquisto di un mercato estivo controverso in cui la qualità è parsa superflua. Non saranno state adottate le soluzioni del caso, agevolando la scelta a favore della Roma dell'attaccante eppure questo gioco non avrebbe giovato a Marco né alla causa del nuovo corso. Con la massima stima (ribadita a più e più riprese) nei suoi riguardi.

domenica 12 settembre 2010

Caracciolo, la scelta giusta

[tempo passato]
Avere vent'anni e la provincia. Che non ti appartiene. E non ti conosce. Cresci a Milano, magari a Cesano Boscone, impari a giocare a calcio, il Milan ti arruola come difensore centrale del futuro anteriore perché sei alto, solido. Cambi, cresci, prometti. E diventi Andrea Caracciolo, ti ritrovi nel Brescia di Carletto Mazzone e tiri palloni a Roberto Baggio e a Pep Guardiola. Ma hai vent'anni e non è Brescia la fine del mondo, dove tutto il vivere ti risucchia.

Lasci la tua casa, lasci la tua storia, cerchi di abusare di una possibilità senza - forse - convincertene. Perché ti hanno plasmato attaccante e devi segnare. Devi segnare. Devi segnare. Non sei più tu, perché le statistiche dicono che non sei più. Sei il vice di qualcuno, anche se si chiama Amauri è sempre qualcuno. Non ti piace questa vita. Vai a Genova, nella Sampdoria che ti accoglie. Come Antonio Cassano, come Vincenzo Montella. Credi nelle tue risorse, credono nelle tue braccia aperte a disegnare l'orizzonte? Chissene. Meglio riflettere, meglio pensare. Non importa che capiscano.

[tempo presente]
Nell'ultimo giorno di mercato, di un gennaio spigoloso tanto freddo faceva, in quanti avranno condiviso la tua decisione? Oggi mi segni il primo gol del ritorno del Brescia in Serie A contro il Palermo (il passato torna sempre). Scelta difficile la tua: preferisci quella società dove sei cresciuto quando ti saresti potuto arricchire accettando l'offerta dei Glasgow Rangers. La strada è solo un po' più lunga. Più irta, sconnessa. Ma ti conduce ai luoghi che ti appartengono e a cui appartieni. A diventare ciò che sei.

domenica 5 settembre 2010

Tomizawa, il motomondiale dell'indifferenza




Mi disturba. Mi disturba assistere - impotente - alla morte di un ragazzo di 19 anni. Che fosse un pilota di Moto2 poco conta. Mi disturba vederlo immobile giacere in pista - quella di Misano - mentre gli altri continuano. Prendono le misure, calcolano il momento dell'entrata, quando lasciare il gas o al contrario aumentarlo. Mi disturba.


Mi disturba che si prosegua, nel teatrino dell'indifferenza. La bandiera rossa non ha sventolato, perché così hanno ritenuto opportuno. E' stata davvero la scelta migliore? No. Per portare via dalla pista Tomizawa quanto prima, uno dei paramedici è inciampato nella ghiaia. Si deve correre, fare in fretta. Alex De Angelis e Scott Redding lo hanno (involontariamente) investito. Arriveranno gli altri, si procede. Velocità, attenzione, via di fuga. La barella è caduta da un lato. Troppa grazia smettere per consentire l'uscita - umana, decente - dello staff medico intervenuto per assistere Shoya. Mi disturba che si arringhi una difesa d'ufficio che guasta qualunque compassionevole dedica a un pilota che non aveva ancora capito che significa avere vent'anni.


Mi disturba che il cerimoniale non sia stato modificato se non dalle parole dei singoli intervenuti ai microfoni dopo la gara della Motogp. Me lo domando, nonostante abbia ascoltato Claudio Costa - medico da decenni al seguito dei piloti e responsabile della clinica mobile del motomondiale -, il dottor Claudio Macchiagodena, Graziano Rossi. Ho preso appunti malamente. Mi disturba ascoltare i fischi - è d'abitudine quest'oggi - rivolti a Jorge Lorenzo sintomatici di una rappresaglia plebea: Valentino Rossi si merita molto di meglio. "La gara della Moto2 - ha spiegato Rossi a fine gara - andava fermata, ci voleva la bandiera rossa. E non capisco perché non sia stata data". Asciutto, chiaro. Questa becera mercificazione, evidentemente, disturba anche lui.

Sakineh, una storia semplice


Una storia complicata, una storia semplice.