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martedì 1 maggio 2012

Arresto cardiaco per Alexander Dale Oen, muore il campione mondiale dei 100 rana

Non aveva ancora 27 anni Alexander Dal Oen, il campione mondiale dei 100 rana che, nel momento della celebrazione quando ancora doveva riprendere la regolarità del respiro, aveva indicato la sua bandiera - quella norvegese - sulla cuffia per ricordare le vittime della strage di Oslo e dell'isola di Utoya. Un arresto cardiaco lo ha stroncato mentre era in ritiro a Flastaff, in Arizona per una serie di allenamenti in quota dove stava per recuperare un infortunio alla spalla. E' stato ritrovato riverso sul pavimento del suo bagno poco prima delle 20, le 5 italiane, dal suo compagno di stanza che aveva bussato senza ricevuta alcuna risposta. Intervenuto il medico della nazionale, è stata chiara fin da principio la gravità della situazione. L'ambulanza, arrivata in appena 6 minuti, ha completato le pratiche di rianimazione e stimolazione riportano i media svedesi. Ma non c'è stato nulla da fare e l'eroe di Shanhai, un atleta perfetto che avrebbe gareggiato a Londra per confermare i successi di Shanghai ha concluso alle 21 di spendere fatica, sacrificio, speranze. Suscitando commozione e ulteriori interrogativi su quanto accaduto.






La notizia di questa tragica perdita è stata data dalla Federazione Nuoto norvegese ed è stata riportata dagli organi di informazione del paese ben presto ripresi da agenzie di stampa. L'allenatore Petter Loevberg ha speso poche, significative parole per un decesso inspiegabile e improvviso. "Siamo tutti sotto shock. Il nostro pensiero va alla sua famiglia che ha perso Alexander troppo presto".


Oen si era guadagnato nei mondiali cinesi l'oro precedendo l'italiano Fabio Scozzoli che ha espresso la propria incredulità e il suo rammarico sulla sua pagina Facebook
Non posso credere a questa notizia.. Siamo troppo giovani per morire. Lascerà un vuoto incolmabile nella storia della rana mondiale. Fabio.


Ora rimane quel segno di rispetto nei riguardi di chi aveva perso la vita per la follia delirante e lucida di un uomo che non aveva capito la via della multiculturalità. Quell'immagine di un ragazzo composto, sul podio e della sua bandiera. 

mercoledì 4 aprile 2012

Amanda Beard: nuoto, bulimia e lamette nella sua biografia





Te la vedi lì, bellissima mentre si muove nell'acqua armoniosa, contratta. Tanto quanto nelle pose plastiche, patinate e artificiali dei servizi di Sports Illustrated e Playboy che poco hanno a che spartire con Harold, il suo orsacchiotto piazzato ad Atlanta in ogni foto celebrative di quelle Olimpiadi dorate. Il suo libro non è la biografia che ti aspetti, ma un dramma ben scritto almeno nelle anticipazioni girate alla stampa. Perché Amanda Beard, la bella divenuta la sexy ranista o il conturbante ritratto di femminilità nei servizi da copertina ha convissuto con un dolore profondo, espresso nei disturbi alimentari, la bulimia, nelle droghe. Addirittura nell'autolesionismo.


In acqua non si possono vedere le lacrime è il titolo scelto per questa vita di trentenne splendida e realizzata, da invitare agli spettacoli di prima serata o da propinare per non concedersi in tempi di crisi il lusso di svegliarsi dal sogno americano dei fumetti, dei classici della letteratura e dallo star system più finto. Invece, Amanda era una adolescente fragile, sofferente per la separazione dei genitori che ha dedicato al nuoto la sua vita. Per essere la migliore. Essere amata e idolatrata.






Fingendo che ciò appagasse quel vuoto interiore. "Non sono mai stata completamente felice", scrive Amanda che in carriera ha vinto di tutto tra cui sette medaglie olimpiche. Il dolore per la separazione dei genitori e il conforto trovato in acqua "dove non ero costretta a parlare con nessuno, ma solo a nuotare. Per anni l'acqua è stato il mio rifugio, poi è diventata la mia prigione".
La voglia di primeggiare, di essere la migliore dentro e fuori la piscina. "Volevo essere non solo una grande nuotatrice, ma anche bella, magra, perfetta" scrive Amanda che ad Atene 2004 è stata eletta la più avvenente in quell'edizione dei Giochi.
"Tutti volevano essermi amici, pensavano che io fossi la loro perfezione. Mi sentii obbligata a non deluderli". La fase peggiore rimane quella vissuta tra droghe, bulimia e, il peggio, coltello e rasoio su gambe e braccia."Volevo sentire qualcosa. Ma tenevo tutto segreto. Se avessero saputo chi ero davvero, non mi avrebbero più amato". Allora, credeva si potesse tener chiuso il dolore. Quello che, per dirsi in via di elaborazione, ha avvertito la necessità di descrivere.